Arsenali al plasma. Un gergo volutamente bellico per dare l’idea di cosa serva per combattere quella che, a tutti gli effetti, è una guerra. Seppur contro un nemico tanto pericoloso quanto invisibile: il Coronavirus. È il titolo che la testata DonatoriH24.it ha scelto per il convegno in livestreaming di mercoledì 20 maggio che, moderato dal direttore Luigi Carletti, ha visto intervenire illustri rappresentanti del mondo scientifico e trasfusionale su strategie e prospettive in merito alla sperimentazione in corso con il plasma iperimmune. Ma soprattutto, sulla possibilità di creare quelle scorte, quegli “arsenali” appunto, su cui poter fare affidamento in particolare nell’eventualità di un possibile nuovo riacutizzarsi della pandemia in autunno.

Oltre al presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola, infatti, l’incontro ha visto confrontarsi anche Rosa Chianese, responsabile del Centro regionale sangue Lombardia; Pasquale Colamartino, responsabile del Centro regionale sangue Abruzzo; Alessandro Gringeri, responsabile della ricerca di Kedrion Biopharma, l’azienda italiana che con alcuni partner, tra cui la Columbia University di New York, sta lavorando sulla terapia del plasma. Ma soprattutto il professor Francesco Menichetti, responsabile del dipartimento di Malattie infettive dell’azienda ospedaliera universitaria di Pisa, a cui le autorità sanitarie italiane hanno affidato il ruolo di leader di “Tsunami”, la sperimentazione della cura con il plasma iperimmune a livello italiano.

Proprio dal progetto che vede Pisa come capofila sono partite le riflessioni dello stesso professor Menichetti: «I numeri che verranno fuori del nostro studio saranno fondamentali perché potranno rappresentare l’unica garanzia di sicurezza. Quello che succederà da qui in avanti sarà l’effetto dei nostri comportamenti: un’ipotetica nuova ondata starà a significare che non abbiamo fatto quanto avremmo dovuto». Un quesito importante è quello relativo alla reale efficacia di questa terapia, una definizione su cui Menichetti è rimasto molto cauto: «Considerare questa sperimentazione come la più valida mi sembra inopportuno perché le evidenze scientifiche che possono dimostrarlo sono ancora scarse. Le tante chiacchiere fatte in questo periodo hanno fatto passare la narrazione al primo posto, trasformando il plasma iperimmune nel Santo Graal contro il Covid-19: dobbiamo, come medici e ricercatori, attivarci perché non è possibile pensare di poter continuare a trattare i pazienti con farmaci sperimentali».

Sei mesi, questo il tempo stimato dal professore per il programma che coinvolgerà 472 pazienti: «Poi occorrerà seguire l’andamento della pandemia, perché potrebbe verificarsi una possibile scarsità di selezione». Un’ipotesi che, sorridendo, il professore si augura «perché vorrebbe dire che il nostro nemico è scomparso. Se nel frattempo dovessero arrivare evidenze scientifiche da altri Paesi, siamo pronti a rimuovere il nostro gruppo di controllo».

Che finora i dati provenienti da Mantova e Pavia siano incoraggianti lo ha ribadito anche il presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola, che ha però sottolineato come il vero obiettivo ora sarà «capire l’esito della sperimentazione e individuare quali saranno gli anticorpi specifici da cui ripartire per il vaccino». Un tema su cui ha insistito il presidente è la conferma della «dignità della donazione del plasma, troppo spesso declassata a donazione di serie B. Grazie a questo tipo di raccolta già da tempo ricaviamo terapie salvavita e oggi dobbiamo renderci conto ancora di più che continuare a donare il plasma è fondamentale anche dopo aver superato l’emergenza Coronavirus». Importante, in tutto questo, sarà il ruolo dei donatori, altro concetto su cui Briola ha fatto ulteriore chiarezza: «Se in Italia ci sono oltre 130mila guariti, non significa che tutti siano potenziali donatori perché non tutti possono aver sviluppato la quantità necessaria di anticorpi utile per debellare il virus. Assicurare scorte di plasma per il futuro è fondamentale, ma tutto dipenderà dai singoli centri trasfusionali e dagli accordi delle Regioni. Al momento manca ancora una direttiva unica da parte del Centro nazionale sangue sulle procedure da adottare per il reclutamento dei potenziali donatori, visto che ad oggi occorre effettuare il test anticorpale che, se positivo, deve essere seguito da due tamponi: un tempo troppo lungo che rischia di farci perdere molti donatori per strada».

Quello del coinvolgimento delle Regioni è il tema su cui è stato prezioso il contributo di Rosa Chianese e Pasquale Colamartino, direttori dei Centri regionali sangue rispettivamente di Lombardia e Abruzzo. Come ha spiegato la dottoressa Chianese, «in merito alla raccolta di plasma per le cosiddette banche, noi vorremmo partire il prima possibile. Raccoglierlo e stoccarlo è fondamentale per quelle caratteristiche particolari che possano essere utilizzate nei protocolli sperimentali o per l’invio all’industria per la produzione di plasma farmaceutico. Per fare questo è però necessaria la collaborazione di tutti per una visione a lungo termine che coinvolga i donatori e ci predisponga a un ampio accesso alle cure». Concetto ribadito anche da Colamartino che ha poi fornito indicazioni precise su percorso e prossimi step da effettuare: «Partendo dalle evidenze delle prime sperimentazioni dovranno poi seguire sudi randomizzati, prima di fare entrare di diritto questa terapia tra quelle riconosciute. La titolazione degli anticorpi neutralizzanti è il vero problema. Da parte delle Regioni c’è grande interesse a coordinarsi tra loro – ha sottolineato – e la dimostrazione l’abbiamo avuta con la sostanziale somiglianza tra i vari protocolli avviati: tuttavia, in particolare di fronte a un eventuale cambiamento dell’applicazione con il plasma, il coordinamento con l’istituzione centrale sarà necessario. Soprattutto per quel che riguarda gli screening: poter contare su un test che valuti, su scala nazionale, il titolo anticorpale, significherebbe avere un volano per il reclutamento, la gestione delle banche del plasma e la produzione industriale».
Tanto sintetica, quanto di importanza straordinaria, la precisazione sulla sicurezza del plasma imperimmune, spesso messa in discussione da alcune uscite poco chiare di qualche addetto ai lavori su alcuni organi di informazione: «Il plasma è sicurissimo perché le procedure di selezione del donatore e validazione della sicurezza sono le stesse che si fanno ogni giorno nei centri trasfusionali per le donazioni convenzionali».

Plasma che vede nell’Italia un territorio ricco di eccellenze scientifiche e industriali per la sua gestione. Tanto da ipotizzare una sperimentazione clinica già tra luglio e ottobre di quest’anno. A confermarlo è stato nel corso del convegno il professor Alessandro Gringeri, responsabile della ricerca di Kedrion Biopharma: «La robustezza dei dati che lo studio Tsunami potrà dare è unica. C’è una grandissima ricerca su quali potrebbero essere le terapie migliori: nel mondo sono in corso oltre 100 sperimentazione con il plasma iperimmune».

Ma come sarà fatto, una volta creato, questo farmaco? «Sarà un preparato che verrà iniettato, tramite siringa, per via endovenosa o sottocutanea».

 

https://www.avis.it/2020/05/21/ruolo-dei-donatori-e-potenzialita-del-plasma-iperimmune-contro-il-covid-il-confronto-su-donatorih24-it/